Chirurgia ricostruttiva mammaria
Le leggendarie amazzoni, protagoniste della mitologia greca, si mutilavano la mammella destra allo scopo di tendere meglio l’arco. Questo occultamento degli attributi femminili, per rendere più forte la donna guerriero, non ha niente a che vedere con l’ideale collettivo attuale.
Al giorno d’oggi una donna a cui è stata asportata la mammella si sente deturpata, privata di una sua caratteristica personale e in generale, privata dell’essere donna. Un atto chirurgico tanto indispensabile oncologicamente, quanto a volte inaccettabile.
Il chirurgo ricostruttore in questo caso non deve ricercare la perfezione, non deve ricreare il seno di un’attrice famosa, deve cercare di ridare dignità ad una paziente che sta per concludere un percorso…un percorso iniziato con la parola cancro e che si concluderà con la parola normalità.
Il ritorno ad una vita normale, alla quotidianità è il più grande desiderio di una donna che ha dovuto combattere contro il cancro. Quella donna si merita un seno il più simile possibile al controlaterale, o nel caso di una mastectomia bilaterale, il più adeguato possibile alla sua corporatura e conformazione fisica.
Quindi il chirurgo ricostruttore non si deve limitare a posizionare delle protesi, il chirurgo ricostruttore deve cercare di ridare forma a quello che ormai non c’è più, per permettere alla paziente di andare al mare o di indossare una maglia aderente e sentirsi semplicemente normale.
Per questo il chirurgo diventa uno psicologo, un confidente, una persona che comprende la situazione, perché di situazioni simili ne ha viste tante e sa benissimo che la paziente, se all’inizio del percorso, quando sente per la prima volta la parola carcinoma, vuole solo guarire, alla fine del percorso vuole solo tornare normale.